I promotori della Campagna di pressione alle “banche armate” sono tre riviste: Missione Oggi dei Missionari Saveriani, Nigrizia dei Missionari Comboniani e Mosaico di Pace della sezione italiana del movimento internazionale Pax Christi. Nel 2020, per il ventesimo anniversario della Campagna, abbiamo deciso di aggiornare e ampliare i promotori e gli aderenti: dal 9 luglio 2020 possono essere co-promotori della Campagna anche altre riviste e organi di informazione e possono aderire, secondo diverse modalità, anche le associazioni laiche o religiose della società civile, i gruppi locali, le diocesi e le parrocchie, gli Enti locali e i singoli cittadini.
La Campagna di pressione alle “banche armate” è nata su iniziativa delle riviste Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia nel gennaio del 2000 in occasione del Grande Giubileo della Chiesa cattolica e della grande mobilitazione mondiale promossa dalla campagna internazionale “Jubilee 2000” che chiedeva la cancellazione del debito dei paesi altamente indebitati.
Lanciando la Campagna “banche armate” abbiamo voluto innanzitutto evidenziare che gran parte del debito del Paesi del Sud del mondo è costituito dal “debito odioso”, quello cioè che dittatori e autocrati di molti Stati avevano contratto per acquistare dai paesi del Nord del mondo armamenti sofisticati che hanno usato per reprimere le proprie popolazioni e fomentare sanguinosi conflitti regionali spesso sostenuti dai Paesi colonialisti e dalle potenze mondiali.
Con la nostra campagna abbiamo perciò inteso innanzitutto mantenere alta l’attenzione della società civile, del mondo politico e delle sue rappresentanze parlamentari e governative sul commercio mondiale delle armi ed in particolare sulle esportazioni di sistemi militari del nostro Paese e anche sulle “armi leggere” (le vere “armi di distruzione di massa del nostro tempo” – come le definì il Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan) di cui l’Italia è uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali e sulle attività finanziarie collegate a questo settore.
Abbiamo voluto offrire, alle associazioni, ai cittadini e ad ogni singolo correntista un modo concreto per favorire un controllo attivo sulle esportazioni di armi e sistemi militari del nostro paese e nello specifico sulle operazioni finanziarie delle banche nel settore industriale militare.
Per Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia non si è trattato di un impegno nato all’improvviso o estemporaneo: le nostre riviste insieme con numerose altre realtà dell’associazionismo laico e cattolico già a partire dagli anni Ottanta avevano infatti denunciato i numerosi traffici di armi dell’Italia e promosso l’ampia mobilitazione nazionale “Contro i mercanti di morte” che condusse il Parlamento nel 1990, dopo diversi anni di intenso lavoro durato due legislature, a dotare il nostro paese della Legge n. 185 del 9 luglio del 1990 che ha introdotto “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Inoltre, abbiamo deciso che i promotori fossero tre riviste per diversi motivi connessi con gli obiettivi e le modalità della Campagna.
Il primo obiettivo è fare informazione, precisa e costante, circa il coinvolgimento degli istituti di credito nazionali ed esteri nella produzione ed in particolare riguardo all’esportazione di sistemi militari e di armi leggere italiane. Non si è trattato però solo di informare e sensibilizzare, ma di promuovere cambiamento a diversi livelli. Innanzitutto a livello politico per richiedere a tutte le forze politiche, al parlamento e soprattutto al governo l’applicazione precisa e trasparente della legge n. 185/1990. L’obiettivo specifico e fondamentale resta comunque la richiesta agli istituti di credito, alle banche e al settore finanziario di non finanziare la produzione e la commercializ-zazione di armamenti e di armi comuni o, per lo meno, di definire delle direttive volte a autoregolamentare in modo rigoroso la propria attività in questo settore.
Oltre all’attività di informazione attraverso le riviste e di sensibilizzazione con convegni a livello nazionale e locale lo abbiamo fatto rivolgendoci agli istituti di credito per chiedere di non finanziare la produzione e la commercializzazione di armamenti e di armi comuni o almeno di definire delle direttive rigorose e pubbliche per autoregolamentare la propria attività nel settore.
Ci siamo sempre rivolti, inoltre, alle associazioni, alle comunità religiose e laiche per favorire una specifica attenzione e decisioni coerenti per quanto riguarda la scelta degli istituti bancari in cui depositare i propri risparmi, fare investimenti e da cui ricevere donazioni e finanziamenti. Inoltre nel 2005 abbiamo attivato una specifica Campagna denominata “Tesorerie disarmate” diretta agli Enti Locali (Regioni, Province e Comuni) per invitarli a inserire nell’atto nella scelta dell’istituto di credito a cui affidare i servizi di tesoreria del proprio Ente dei precisi criteri in relazione coinvolgimento delle banche nel settore degli armamenti e alle direttive da loro emanate. Infine, fin dall’inizio abbiamo chiesto a tutti i cittadini di assumere decisioni coerenti nella scelta della banca in cui depositare i propri risparmi e fare investimenti.
A trent’anni dall’entrata in vigore della Legge 185/1990 e a vent’anni dal lancio della Campagna stanno emergendo alcuni fenomeni quanto mai preoccupanti. Innanzitutto la tendenza da parte degli ultimi governi a incentivare le esportazioni di sistemi militari anche a Paesi verso cui sarebbero vietate (Paesi in stato di conflitto armato, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni di diritti umani e la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione.
Inoltre si sta verificando un graduale allentamento da parte di diversi istituti di credito delle rigorose direttive che avevano emesso alcuni anni fa allo scopo di poter finanziarie e offrire servizi bancari anche a aziende che producono ed esportano armamenti a Paesi ricchi di risorse energetiche, ma pesantemente coinvolti in conflitti e violazioni. Tutto questo è stato favorito dal progressivo indebolimento della trasparenza della Relazione governativa e dalla costante mancanza di controlli da parte del Parlamento.
Negli ultimi quattro anni i principali acquirenti di sistemi militari italiani sono stati i Paesi dell’Africa settentrionale e Medio Oriente a cui i governi Renzi, Gentiloni e Conte hanno autorizzato l’esportazione di materiali militari per quasi 17 miliardi di euro, pari al 51,2% del totale delle licenze rilasciate (33 miliardi di euro).Tra questi Paesi spiccano le monarchie assolute islamiche della penisola araba (Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman) e diversi Paesi del bacino sud del Mediterraneo (Egitto, Algeria, Israele, Marocco). Si tratta di esportazioni finanziate e favorite da diversi gruppi bancari italiani ed esteri le cui specifiche operazioni è oggi, a differenza di alcuni anni fa, impossibile rintracciare nella Relazione governativa.
Sui i dati ufficiali delle “Relazioni sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” pubblicate annualmente dalla Presidenza del Consiglio che riporta le operazioni autorizzate e svolte dalle banche per quanto riguarda l’esportazione e l’importazione di materiali d’armamento e, per diversi anni, ha riportato anche le specifiche operazioni di dettaglio, cioè i Paesi destinatari dell’operazione, il valore degli anticipi finanziari, dei prestiti, delle intermediazioni bancarie, ecc.. Abbiamo corredato questi dati con le nostre analisi sulle direttive via via emanate dagli istituti di credito riguardo al settore degli armamenti proprio per favorire una comprensione più approfondita e attenta dei dati diffusi dal governo.
Il punto di forza e di rilevanza della nostra Campagna sono sempre stati i dati sulle operazioni bancarie (la tabella delle “Esportazioni definitive per Istituti di Credito”) della Relazione governativa: si tratta, infatti, di dati ufficiali diffusi dall’organo preposto, cioè dal governo, quindi dati non smentibili che riguardano specificamente l’ammontare delle attività degli istituti bancari nell’esportazione di sistemi militari italiani.
E’ molto rilevante ma non è sufficiente. Non solo perché quella tabella non riporta più le singole operazioni svolte dalle banche (cioè le “operazioni di dettaglio”), ma anche perché oggi è quasi impossibile, se non in rari casi, correlare la specifica attività di intermediazione svolta dalle banche con le operazioni autorizzate per l’esportazione e i Paesi destinatari. In parole semplici, oggi è molto difficile – quasi impossibile –ricavare dalle tabelle della Relazione ciò che si sapeva fino a qualche anno fa e cioè i Paesi con cui gli istituti di credito svolgono operazioni per esportazioni di armamenti. Era un’informazione fondamentale per la nostra Campagna per verificare l’effettiva attuazione da parte delle banche delle direttive restrittive che avevano emesso.
Comunque, le tabelle curate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Dipartimento del Tesoro Direzione V – Ufficio VI) riportate nella Relazione annuale del governo denominate “Esportazioni definitive per Istituti di credito – Riepilogo generale” e anche le tabelle denominate “Licenze Globali di programma di cooperazione” e “Programmi intergovernativi per istituti di credito – Riepilogo” sono molto rilevanti perché indicano che un istituto di credito svolge servizi finanziari a favore dell’esportazione di sistemi militari italiani.
Negli ultimi anni sono state apportate delle modifiche alla Relazione che hanno pesantemente inficiato la trasparenza: si tratta di modifiche, o meglio di sottrazione di informazioni, nella sezione della Relazione curata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Dipartimento del Tesoro Direzione V – Ufficio VI) che come Campagna abbiamo ripetutamente segnalato.
La prima si è verificata nella Relazione che il governo Berlusconi IV ha inviato alle Camere nel maggio del 2008 dalla quale è stata sottratta, senza darne alcuna spiegazione al Parlamento, la lunga tabella di “Riepilogo in dettaglio suddiviso per Istituti di Credito” (denominata anche “Esportazioni Definitive per Istituti di Credito – Riepilogo Dettagliato”) che permetteva di correlare le singole operazioni autorizzate alle banche con i Paesi destinatari dell’operazione e di conoscere la specifica tipologia dell’operazione svolta dalla banca (anticipi, prestiti, incassi, compensi di intermediazione, ecc.).
La seconda nel 2013, a seguito di una interpretazione alquanto arbitraria da parte del MEF del Decreto legislativo n. 105 del 22 giugno 2012 (che ha modificato la legge n. 185 del 1990): il MEF, pur avendo a disposizione i dati sugli “Importi Autorizzati” alle banche, ha deciso di riportare nella Relazione solo gli “Importi Segnalati” e gli “Importi Accessori Segnalati” non rendendo quindi più possibile, se non in rarissimi casi, correlare le operazioni svolte dalle banche con gli importi autorizzati per l’esportazione di armamenti.
Detto semplicemente, mentre fino al 2007 era possibile conoscere dalla Relazione governativa ogni singola operazione autorizzata e svolta da ogni banca, la tipologia dell’operazione (anticipi, prestiti, incassi, compensi di intermediazione, ecc.) e la controparte (cioè il Paese acquirente, destinatario degli armamenti), mantenendo giustamente riservata l’azienda produttrice ed esportatrice, oggi tutto questo è impossibile da rintracciare nella Relazione governativa.
Questa sottrazione di informazioni non solo rende oggi impossibile il controllo parlamentare e anche della nostra Campagna riguardo alle specifiche attività bancarie in questo settore, ma soprattutto ha favorito l’ingresso e le attività da parte di banche estere, sopratutto di quelle che non hanno alcuna autoregolamentazione in materia, cosa che invece hanno quasi tutte le principali banche italiane. Anche per questo è fondamentale che venga ripristinata la piena trasparenza e tornino ad essere pubblicate anche le informazioni di dettaglio delle operazioni bancarie. Più informazioni si hanno migliore è anche l’attività di monitoraggio da parte della nostra Campagna con l’importante conseguenza di evidenziare le pratiche positive di responsabilità sociale messe in atto dalle banche e di penalizzate in modo preciso quelle fittizie o di facciata.
Non direttamente, ma di fatto lo è stata eccome! Nella Relazione inviata al Parlamento dal governo Berlusconi III, il 30 marzo 2005 a firma di Gianni Letta si leggeva infatti. «Altra problematica di alta rilevanza trattata a livello interministeriale, è stata quella relativa all’atteggiamento assunto da buona parte degli istituti bancari nazionali nell’ambito della loro politica di “responsabilità sociale d’impresa”. Tali istituti, infatti pur di non essere catalogati fra le cosiddette “banche armate”, hanno deciso di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l’importazione o l’esportazione di materiali d’armamento». A detta del governo Berlusconi questo atteggiamento delle banche avrebbe «comportato per le industrie notevoli difficoltà operative» e proprio per questo «il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale». La soluzione fu quella, tre anni dopo col ritorno di Berlusconi al Governo, di far sparire dalla Relazione governativa informazioni cruciali per la Campagna “banche armate”.
Non precisamente. Come abbiamo detto, è innanzitutto una campagna di pressione politica sul governo e le rappresentanze politiche. E’ inoltre un’azione di pressione e di confronto con gli istituti di credito e con tutti gli attori finanziari. E’, infine, un’attività di informazione per tutte le associazioni, le realtà pubbliche e private e di sensibilizzazione e di richiesta di coerenza a tutti i cittadini.
Il metodo della nostra Campagna è sempre stato quello del dialogo con tutti in sintonia con la prassi della nonviolenza e della reciproca responsabilizzazione che prevedono dialogo e confronto, ma anche – in mancanza di risposte e di risultati concreti – la possibilità di boicottaggio. Se da parte degli istituti di credito e degli attori finanziari non c’è volontà di confronto e non ci sono passi che dimostrino un’effettiva assunzione di responsabilità in questo settore l’unica via possibile, l’extrema ratio, è quella del boicottaggio: ma si tratta della logica conseguenza di una loro precisa decisione, non di una nostra volontà originaria. Detto semplicemente: se non mi dai nessun’altra possibilità che quella di boicottarti lo farò, ma sei tu che mi ci hai costretto.
Il primo e principale interlocutore della Campagna è il mondo politico e le sue rappresentanze parlamentari e governative: per questo la Campagna e le riviste promotrici agiscono in sinergia con le associazioni e le reti nazionali come la Rete italiana per il disarmo impegnate a diversi livelli nel controllo del commercio mondiale di armamenti e delle esportazioni italiane ed europee di sistemi militari e di armi comuni.
Ma il problema della produzione e del commercio di armamenti non riguarda solo questioni di tipo giuridico o politico (le leggi e le norme che regolamentano il settore degli armamenti e la loro effettiva applicazione), di tipo culturale, sociale e umanitario come dell’impatto degli armamenti. Riguarda anche, se non soprattutto, il finanziamento dell’industria militare, le linee di credito offerte alle aziende del settore, i prestiti per specifiche produzioni e, non ultimo, i servizi finanziari che le banche concedono alle aziende per l’esportazione e l’importazione di armamenti e di armi leggere. Data l’ingente necessità di finanziamenti e servizi da parte delle aziende del settore armiero, le banche svolgono un ruolo fondamentale nella produzione e nel commercio di armamenti e di armi leggere. Proprio per questo fin dall’inizio la Campagna ha chiesto alle banche di esplicitare e definire il proprio ruolo nella produzione e nell’esportazione di armi.
Certamente. Ma questo non significa che le banche non possano adottare delle direttive o policy rigorose per escludere o regolamentare la propria attività in questo settore. La nostra Costituzione riconosce la “libertà d’impresa” (“L’iniziativa economica privata è libera” – Costituzione art. 41) e proprio per questo non è obbligatorio per gli istituti di credito concedere servizi e finanziamenti alle aziende del settore militare: è una loro scelta autonoma nell’ambito delle loro politiche imprenditoriali. Niente perciò vieta che intraprendano misure di esclusione o fortemente limitative nei confronti della produzione e del commercio di armi: sono ovviamente tenute ad esplicitarle ai propri clienti e alle aziende, ma possono farlo.
Sì, possono farlo proprio nell’ambito delle loro politiche imprenditoriali e nello specifico all’interno della proprie iniziative di “responsabilità sociale d’impresa”. In questi anni, numerosi e importanti gruppi e istituti di credito hanno deciso di non concedere i propri servizi finanziari alla produzione e la commercializzazione di armi messe al bando da trattati internazionali come le armi nucleari, biologiche e chimiche, le bombe a grappolo e a frammentazione, le armi contenenti uranio impoverito e le mine terrestri anti-persona. Le banche possono pertanto escludere o regolamentare in modo rigoroso e trasparente anche le proprie operazioni che riguardano la produzione e la commercializzazione di armamenti convenzionali e di armi comuni. E numerose banche italiane in questi anni lo hanno fatto grazie proprio alle pressioni e alla interlocuzione con la nostra Campagna e le associazioni aderenti.
Certamente. Ma la legge n. 185 del 1990 “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” e successive modificazioni regolamenta, appunto, l’attività dello Stato, delle aziende e degli istituti di credito che operano in questo settore ma non – ed è qui la differenza sostanziale – regolamenta la “responsabilità sociale” di una azienda. In altre parole, tutte le aziende e le banche che operano nel settore degli armamenti devono osservare la legge, ma la legge non vieta che le aziende o le banche adottino delle norme più restrittive. La differenza è tra la “legalità” (che definisce ciò che tutti devono osservare) e la “responsabilità etica e sociale” che, invece, richiede un’azione propositiva sulla base di un sistema di valori o di valutazioni. Ogni attività bancaria in questo settore deve essere legale e rispettare le norme stabilite, ma questa non è una condizione sufficiente per sancire che tale attività sia anche etica e responsabile. Per questo la Campagna chiede innanzitutto alle banche di esplicitare la propria responsabilità etica e sociale anche in questo settore senza rifugiarsi dietro il concetto di “legalità”.
Anche la produzione di sigarette, di alcol e di materiale pornografico è redditizia ed è regolata da norme, ma nulla vieta che una banca decida di non avere rapporti con aziende che operano in questi settori o di non concedere servizi alla produzione di tabacco, alcol e materiale pornografico.
Una banca, quindi, può adottare delle direttive volte ad escludere tra i propri clienti le aziende del settore armiero o anche solo – pur non escludendo i rapporti con queste imprese in quanto diverse aziende producono anche materiali ad uso civile – per vietare di fornire finanziamenti e servizi alla produzione e alla commercializzazione di materiali militari e armi comuni. Può farlo sulla base di diversi criteri e valutazioni che possono essere di tipo etico-valoriale (promuovere la sicurezza, limitare la diffusione delle armi, ecc.) o per non incorrere in rischi reputazionali (veder associato il proprio nome a quello dei produttori di armi) o anche solo per convenienza economica (non ritenere sufficientemente remunerativo questo settore rispetto ad altri).
I tre tipi di valutazioni non sono equivalenti: rispondono infatti a preoccupazioni diverse e manifestano un differente approccio al problema degli armamenti e delle armi comuni, alla loro commercializzazione e diffusione. Mentre, infatti, un approccio di tipo etico-valoriale mette in primo piano la promozione della pace, della sicurezza, la tutela dei diritti e delle libertà democratiche e rileva i gravi problemi connessi al commercio di sistemi militari con regimi repressivi, con Stati coinvolti in conflitti armati, con governi le cui politiche accrescono l’instabilità di intere regioni e internazionale, ecc., l’approccio che evidenzia principalmente, se non esclusivamente, i rischi reputazionali appare soprattutto preoccupato non tanto del benessere collettivo quanto piuttosto del ritorno d’immagine per la banca (preoccupazione legittima, ma alquanto limitata per un problema di così vasta portata) e lo stesso può dirsi dell’approccio che basa la propria decisione sulla convenienza economica dell’attività in questo settore. Per questo La nostra Campagna chiede alle banche di esplicitare le proprie attività nel settore non solo in relazione al rischio reputazionale, ma sulla base di criteri etici e di valore non meramente economico.
In linea generale tutti gli armamenti possono essere utilizzati in funzione difensiva o offensiva e lo stesso vale per le armi in dotazione a corpi di polizia e di sicurezza, pubblica o privata. Per regolamentare il commercio internazionale di armi convenzionali e il loro utilizzo le Nazioni Unite hanno definito e approvato il 2 aprile del 2013 il “Trattato sul commercio di armi” (Arms Trade Treaty – ATT). Il Trattato – che è entrato in vigore il 24 dicembre del 2014 – è frutto di una mobilitazione internazionale promossa da numerosissime associazioni della società civile a cui ha partecipato anche la nostra Campagna insieme alle associazioni e reti italiane.
Il Trattato riconosce “il diritto naturale degli Stati all’autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” ed intende favorire “il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio di risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti” e “prevenire e eliminare il commercio illecito di armi convenzionali e la loro diversione verso il mercato illecito o per finalità ed impieghi finali non autorizzati”.
In linea col Trattato, la nostra Campagna non sostiene che non è responsabile finanziare la produzione e il commercio di armi convenzionali e di armi comuni in quanto tali, bensì che può esserlo solo se rispetta diverse condizioni ed, innanzitutto, solamente con quegli Stati che hanno firmato e ratificato questo Trattato. L’adesione ad una normativa internazionale e la partecipazione attiva e responsabile alla sua applicazione è infatti il primo (non l’unico) ma indispensabile requisito per valutare se uno Stato è davvero intenzionato ad utilizzare agli armamenti e le armi che acquista dall’estero ad esclusivo uso difensivo – cioè secondo le norme stabilite dalla comunità internazionale – e protettivo nei confronti della popolazione. Di conseguenza, una prima e fondamentale regola che gli Stati, e le aziende e anche le banche, dovrebbero implementare è il divieto a commerciare armamenti e armi comuni con tutti quei Paesi che non hanno firmato e ratificato il “Trattato sul commercio di armi”.
Premesso che la dicitura “banca armata” è solo un modo colloquiale per indicare che – come abbiamo detto – un istituto di credito svolge servizi finanziari a favore della produzione e dell’esportazione di sistemi militari italiani, c’è una prima e fondamentale decisione che una banca può fare: assumere l’impegno, pubblico ed ufficiale, di non svolgere servizi finanziari per le aziende che producono ed esportano sistemi militari ed armi comuni.
Una banca può inoltre decidere di assumere un impegno pubblico ed ufficiale più limitato come, ad esempio, quello di non svolgere servizi finanziari per la produzione e l’esportazione di sistemi militari e di armi comuni a Paesi che non hanno ratificato il “Trattato sul commercio di armi” o di svolgerli solo per Paesi dichiaratamente democratici che non sono coinvolti in conflitti armati ed i cui governi non sono responsabili di violazioni dei diritti umani e hanno una spesa militare contenuta o anche definire altri criteri chiaramente restrittivi: in questo caso la banca non solo dovrebbe dichiarare pubblicamente la sua decisione ma anche impegnarsi a rendere pubblici, attraverso una direttiva, i principi ed criteri precisi che definiscono la propria decisione e, per renderli verificabili, impegnarsi a pubblicare annualmente un rapporto dettagliato che riporti le tipologie di armamenti e di armi leggere, i valori, i paesi acquirenti che sono stati oggetto delle operazioni di finanziamento o anche solo di esportazione svolte dalla banca nell’anno precedente. Non è ovviamente richiesto che la banca renda noti i nomi delle aziende.
In definitiva: più restrittive sono le regole definite da una banca e maggiori le informazioni che la banca rende pubbliche riguardo alle operazioni che svolge per la produzione e l’esportazione di armamenti e di armi comuni, minore è il rischio che una banca venga considerata una “banca armata”.