La riposta di Banca Valsabbina alla Lettera aperta inviata dalla Campagna di pressione alle “banche armate” riguardo alle politiche di finanziamento e ai servizi che l’istituto di credito concede alle aziende produttrici ed esportatrici di armamenti non solo è insufficiente, ma è inaccettabile perché non presenta alcuna assunzione di responsabilità etica e sociale oltre a quanto già definito dalla legislazione vigente in Italia.
La “Policy etica” resa nota da Banca Valsabbina si limita infatti a “non supportare operazioni, intese come qualsiasi transazione bancaria di pagamento, incasso e/o finanziamento con imprese che operano nella produzione, stoccaggio e commercializzazione” ad alcuni tipi di armamenti già vietati dalle leggi nazionali (Armi di distruzione di massa nucleari, biologiche e chimiche; Agenti tossici chimici, biologici o materiale radioattivo e a quelle che la Banca definisce – senza specificarne la tipologia – “Armi controverse”, intendendo forse le mine antipersona e le bombe a grappolo la cui produzione e commercializzazione è già vietata in Italia), mentre per quanto riguarda i servizi che offre alla produzione e all’esportazione di tutti gli altri sistemi e materiali militari e di armi comuni, Banca Valsabbina ripropone pedissequamente alcuni – e nemmeno tutti – i divieti previsti dalle normative nazionali che ogni istituto bancario è già tenuto, per legge, ad osservare.
Nella “Lettera aperta a Banca Valsabbina”, i direttori delle tre riviste promotrici della Campagna di pressione alle “banche armate”, avevano invece chiesto alla banca di definire al più presto un preciso “Codice di responsabilità sociale”, e non solo una mera “policy”, atto ad esplicitare “i princìpi di responsabilità sociale” che la banca si impegna ad attuare e di rendere noti “i servizi bancari che la Banca intende proseguire, limitare o porre a termine con le aziende produttrici di materiali d’armamento e di armi comuni, con particolare attenzione ai servizi che intende concedere alle aziende per l’esportazione di tali prodotti”.
Banca Valsabbina, affermando che “sono ammesse le transazioni e i finanziamenti relativi alla produzione, alle compravendite domestiche, all’import, export e transito di materiale di armamento prodotto, scambiato e utilizzato in via definitiva da forze armate e relativi enti preposti, nonché da forze di polizia locali operanti nel rispetto delle limitazioni sopra definite” non pone alcun limite se non quelli, appunto, già previsti dalle normative vigenti.
I direttori delle tre riviste avevano inoltre chiesto a Banca Valsabbina di rendere note tutte le operazioni che la banca ha svolto dal 2006 nel settore delle esportazioni di armamenti: Banca Valsabbina non solo non ha risposto nel merito, ma la sua “Policy etica” non esplicita alcun impegno riguardo alla trasparenza e alla rendicontazione pubblica in questo settore.
Infine la Campagna aveva chiesto a Banca Valsabbina di “sospendere da subito, anche a fronte di eventuali penali, tutti i finanziamenti e i servizi disposti dalla Banca alla produzione e all’esportazione di materiali militari e di armi comuni verso paesi in conflitto armato ed i cui governi siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertate dalle associazioni internazionali accreditate alle Nazioni Unite”. Anche a questo riguardo non vi è stata alcuna risposta da parte della Banca.
Banca Valsabbina deve soprattutto chiarire all’opinione pubblica e ai suoi stessi correntisti se intende continuare a offrire servizi bancari, compresa la domiciliazione di incassi e pagamenti, all’azienda RWM Italia anche per l’esportazione da parte di quest’ultima di materiali bellici alle forze armate dell’Arabia Saudita e di altre monarchie del Golfo che dal marzo del 2015 sono intervenute militarmente, senza alcun mandato internazionale, nel conflitto in Yemen con pesanti bombardamenti anche sulle zone abitate da civili. In particolare Banca Valsabbina deve chiarire il suo ruolo riguardo all’operazione, assunta dalla RWM Italia lo scorso anno e tuttora in corso, per l’esportazione all’Arabia Saudita di 19.675 bombe del tipo MK 82, MK 83 e MK 84 del valore di oltre 411 milioni di euro: si tratta della maggiore operazione per esportazione di bombe aeree effettuata dal dopoguerra da un’azienda avente sede legale in Italia e, dalle informazioni reperibili nella Relazione governativa, Banca Valsabbina risulta essere l’istituto di credito di riferimento di RWM Italia anche per questa esecrabile operazione. Come noto, il rapporto inviato lo scorso gennaio al Consiglio di Sicurezza dal Gruppo di esperti delle Nazioni Unite documenta l’impiego di bombe prodotte dalla RWM Italia da parte dell’aeronautica militare saudita per bombardare città e aree abitate da civili in Yemen: questi bombardamenti sono espressamente vietati dalle convenzioni internazionali e pertanto – come evidenzia il rapporto – “possono costituire crimini di guerra”.
La Campagna di pressione alle “banche armate” rinnova pertanto le proprie richieste a Banca Valsabbina e si rende disponibile per eventuali chiarimenti. Invita, infine, tutti i correntisti, ed in particolare le associazioni del volontariato e della cooperazione internazionale, a fronte di una mancata risposta, a valutare la possibilità di porre termine ai rapporti con la Banca.
I direttori delle tre riviste
p. Mario Menin (direttore di “Missione Oggi”)
p. Efrem Tresoldi (direttore di “Nigrizia”)
p. Alex Zanotelli (direttore responsabile di “Mosaico di pace”)